I / II - VITA NEL GHETTO

E nei vicoli sudici del Ghetto
nelle ore più assolate meridiane,
in uno spazio di miseria stretto,

tra le cure più fruste quotidiane,
in stretti, chiusi, sordidi angiporti
per esigenze più sofferte umane,

mercanti occhiuti e rigattieri accorti,
neri minuti trafficanti lerci,
storpi, sciancati, accidentati, storti,

mercatavano obliqui al banco merci
tra mogli, tra megere ciabattanti,
per aiuto di traffici e commerci,

tra marmocchi e monelli zoccolanti,
discoli, a mucchi scorrazzando in frotta,
tra donne incinte, litigiose, urlanti,

la schiena curva di fatica e rotta,
di cenci, minutaglie e di ciarpame,
a scuro triste mercatar ridotta,

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d'un confuso diffuso minutame
di dubbie incette, compere e baratti,
male soffrendo critica ed esame,

tra montagne di vecchi manufatti,
di stracciai, robivecchi infimi neri,
frenetici, convulsi, contraffatti,

laidi, bisunti, luridi, ciarlieri
nel brusio fitto e brulichio presente,
prezzi doppiando e dimezzando interi,

tra pullular continuo intermittente,
tra sciamar per gli slarghi e per le vie,
tra vecchie cose e novità corrente,

di ciarle, di faccende e mercanzie
di scambi, di baratti, di scommesse
di violenze, d'ingiurie e villanie,

di sguardi muti e di paure espresse,
israeliti camusi infimi scuri
di cure infaticabili indefesse,

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da stambugi sortiti e da tuguri
per fondaci, botteghe e magazzini
stretti addossati a scalcinati muri,

di stracciai, rivenduglioli, strozzini,
di affari scarsi e di profitti stretti,
paraninfi, mezzani e bagarini.

Mignatte ed usurai, pappa ed ostieri,
con la luna levatisi e le stelle,
gibbosi sgorbi e scarabocchi neri,

tra lo sciacquio di piatti e le scodelle,
gli sguardi scuri, penetranti, guerci,
di sghembo a sgangherate bancarelle

assisi, in mostra procacciate merci,
con trepida minuta diligenza,
per lunghe attese tabaccando lerci,

con solerzia, perfidia e intelligenza,
d'incerto problematico vantaggio
tra malanimo e scura connivenza,

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triste di vita quotidiano saggio,
di oltraggi abbeveratasi e di fiele
per gravoso d'esistere pedaggio.

Ma là dove più fosca e più crudele
del popolo di Giuda era la sorte,
tra i messianici sogni d'Israele,

sogguardavano d'usci e d'angiporti
femmine piene d'ombra e di mistero,
pullulando d'intorno agili e forti,

di concubito ingordo e amplesso intero
di affollata lussuria intima grave
in uno spazio di miseria nero,

d'uomini troppo volontarie schiave,
tra infiniti espedienti e sotterfugi,
dentro un portone, sotto un architrave,

congiunti in malagevoli rifugi
(colloqui dolci, chiusi abboccamenti,
ritardi lunghi e calcolati indugi!)

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tra menzogne, raggiri e tradimenti,
e mansioni diverse quotidiane,
di sospesi, di magici momenti,

di sogni folli e cupidigie insane
di gran giumente cavalcate ingorde,
di scure verità sofferte umane,

a faccende di casa intere sorde,
al pensiero del vivere e del pane,
vibranti come musicali corde.

Ma dolci, irreprensibili creature
fiorivano di più trepidi sguardi,
vergini intatte, immacolate, pure,

vagabondando nella sera tardi,
abbracciate così strette per mano,
di luminosi innamorati sguardi,

d'un sogno dolce e senza fine vano,
lieve sospeso al desiderio antico,
giovane tempo assaporando umano.

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Rifiorivano nuovi a primavera
intatti freschi, adolescenti ardori
tra le ombre assorte nella chiara sera,

di mai perduti ritrovati amori,
d'accese brame e intimità fugaci,
di vaghe fantasie, trepidi errori,

in nodi indissolubili tenaci
d'incantata così lieve esistenza,
a strette ardenti, a furibondi baci.

E in un tempo di dura sofferenza,
vento soffiava di violenza atroce
in dolorosa e cupa intermittenza,

d'odio antico implacabile feroce
nel pieno d'un osceno baccanale
che razza pose di semiti in croce.

Nel tempo nero effimero trionfale
demagoghi tuonavano e tribuni
d'una Italia invincibile imperiale,

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nel mezzo d'oceanici raduni,
sobillando la pubblica opinione
per aggravio di diete e di digiuni,

a fronte d'anglosassone epulone,
nell'Urbe capitale dell'Impero
con una pertinace ostinazione

nel tempo della forza ultimo nero.