VIII - LAVORO COATTO Nude, rigide, in fila, all'alba, in piazza, nell'aria fredda, gelida, invernale, con gli zoccoli ai piedi nella guazza, per uno strazio quotidiano eguale, rabbrividendo ai brividi del vento, di sotto un cielo indifferente eguale, supplizio lungo e mattutino evento in un silenzio d'incubo e di piombo, nello stato di estremo avvilimento, cupo sentendo per le vene il rombo del sangue, sobbalzando ad ogni scossa, i piedi fatti inutili di piombo, nel breve giro e nell'immensa fossa, creature disperate derelitte, non d'altro fatte che di pelle e d'ossa in file interminabili diritte, geometriche, di massa orrida informe, rabbrividendo alle gelate fitte, VIII / 2 gravi calcando inconsapevoli orme per nulla estremo raffinato eccesso di farsi fumo e nuvolaglia informe, alle officine della morte presso, di forni e di camini destinati a magnifiche sorti del progresso, di solitari e tragici forzati in quel sinistro e quotidiano appello mattutino, con cura esaminati. E coatto nuovissimo flagello lavoro era impossibile forzato, di tedesco nuovissimo modello, a una turba di spettri comandato in quella terra senza tempo morta, con passo grave forte cadenzato. Andava gente con la faccia smorta, da violente seguita imprecazioni di sentinelle vigili di scorta, VIII / 3 con le braccia sospese penzoloni lungo i fianchi, malfermi, incespicando nei sassi, tra beffarde esortazioni, scassati, malaccorti, mormorando a fatica parole per la via tra un colpo di scudiscio ed un comando di guardiani per sadica angheria, per ordine, rigore, per durezza, per trastullo, per cieca frenesia. E, distrutti d'angoscia e d'amarezza, scontraronsi in un lugubre corteo che li gravò di subita certezza. Innanzi andava incatenato il reo a una guardia, frammezzo ad un plotone di soldati (e la corda per trofeo!), a barbara votato esecuzione, da musicale accompagnato orchestra pensata per sollazzo e ricreazione. VIII / 4 diritto andava per la via maestra verso la forca mobile approntata, nel piazzale del campo, alla palestra. E, issato sopra un tavolaccio, stata, meravigliosa alla bisogna, corda, ruvida, rozza, solida, annodata, tra una gente di sangue avida ingorda, dentro immersa nel suo duro rovello, e l'altra resa indifferente e sorda. E tosto allontanatosi il drappello di soldati, nell'aria umida e grigia, rovesciato d'un colpo lo sgabello, alla folla gridò nel pigia pigia, un cappio al collo, il volto tumefatto, in mano a un boia dalla faccia grigia: "Compagni, io sono l'ultimo !" D'un tratto videsi il corpo immobile da prima, piombare al suolo per sostegno tratto, VIII / 5 strangolandolo corda attorta in cima tra violenti sussulti e forti scosse, tra la stupefazion del boia e stima, che con sollecitudine si mosse e mano pose al suppliziato in gola che la testa piegò, né più si mosse. 'Kameraden, ich bin der letzte!' Parola sopraggiungeva viva oltre la morte, come suprema ammonizione e scuola, in un silenzio sepolcrale forte a quei fantasmi immobili reietti, da cruda troppo sbigottiti sorte. "Vorwrts marsch! Vorwrts marsch!Reietti d'un germanico nuovo ordine alterno di scuri campi e turpi lazzaretti, d'un vero (e non immaginato!) inferno (senza moto nessun di ribellione!) nel tremendo rigore dell'inverno, VIII / 6 pativano l'estrema coercizione d'un feroce di morte carosello nella notte e nel sonno di ragione, tra di guardiani vigile drappello per cammin stretto malagevol scuro, d'estrema perso dignità brandello, per un lavoro di forzati duro, legati l'un con l'altro alla catena, al suono della tromba e del tamburo, su quella triste martoriata arena, di nuovo inferno scuro crocevia, a stento trascinandosi con pena, per lunga interminabile agonia d'uno sgobbo terribile coatto lungo i binari della ferrovia, in buca o in fosso incespicando o anfratto, su aguzze pietre e acuminati sassi, duro sentendo del terreno impatto, VIII / 7 gravi muovendo tribolati passi, affondando nel fango della strada, piegati e curvi sotto enormi massi, uomini dall'angoscia devastati per lavoro coatto senza fine, stremati esausti tristi disperati, dell'umano possibile al confine, sgobbando senza sosta,e senza indugio accollandosi al gobbo traversine, frugando e rifrugando ogni pertugio, di staffile o scudiscio flagellati, per raggiro o per altro sotterfugio, israeliti nuovissimi forzati, per lievissimi falli o gravi sgarri frustati, flagellati, fustigati, (schermando appena miseri tabarri con ai piedi due zoccoli di legno il freddo tra la via ferrata e i carri!), VIII / 8 soddisfacendo poi senza ritegno, vinti e aboliti verecondi impacci, bisogni col più crudo disimpegno, logori dentro infagottati stracci, sopra gettati alle casacca a strisce tenuta insieme da corregge e lacci, su carreggiate mal connesse lisce, i piedi trascinando a gran fatica, quasi in letargo risvegliate bisce, su quella triste vastità nemica per trattamento di coatti indegno cui faccia nulla sorrideva amica, nulla potendo soddisfare impegno per braccia poche e per attrezzi scarsi, per carenza di aiuto e di sostegno, per ostaggi d'ergastolo mutarsi, nulla potendo sovvertir la sorte se non nell'ombra putrida disfarsi. VIII / 9 Stremati corpi d'uomini alla morte, dannati senza errore e senza fallo, a quello sgobbo sopportato forte, non dissimil da un bue, non da un cavallo, gobba curvata o direnata schiena, sotto ferula a punta di metallo, al dolore votati ed alla pena d'un lungo interminabile travaglio per magra zuppa consumata a cena, in gravissimo posti repentaglio, per violate testé rigide norme, per lieve scarto o malinteso abbaglio. Massa ammucchiata ismisurata enorme, annichilita, di forzati tristi con la groppa già più grave deforme, dove duri apparivan terroristi ombre sparute, e ruderi infingardi agitatori anarchici estremisti. VIII / 10 Uomini prima validi gagliardi in mano di kapò sadici posti, nel castigo non mai pietosi o tardi, a beffe, a ingiurie, a prepotenze esposti tremavan sotto logora casacca, a dura disciplina sottoposti, sbobba sognando o tiepida baracca d'una di schiavi depredata carne, per quel lavoro di forzati stracca. di cui nulla potrebbe altri mai farne , di razza questa dimidiata negra, che di cenere mucchio intero trarne, a terra o a torba mescolata negra. |